Moon

di Duncan Jones

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  1. Kurtz
     
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    Duncan Jones non ha solo coraggio, che da solo non basterebbe, ma insieme una pratica umiltà che l’ha portato a realizzare uno dei film più belli di questo finale d’anno, uno sci-fi che dialoga sì con i moloch del genere (leggi Tarkovskij e Kubrick) ma al tempo stesso si sottrae con intelligenza a una competizione troppo netta, dirigendosi verso un’incalzante svolta narrativa che intreccia le premesse filosofiche con l’intero pantheon del genere. Ricostruendo quell’immaginario con un budget limitato e un set spartano (almeno a confronto delle produzioni odierne) fa di necessità virtù e da vita a una claustrofobia esistenziale che ruota intorno alla straordinaria performance di Sam Rockwell, unico attore del film, che ormai detiene meritatamente la palma dell’attore più schizzato e a angosciato. Difficile scrivere del film senza rivelare le svolte della trama, che pur non essendo l’aspetto più importante, sono necessarie per godere a pieno del film.
    Una cosa è certa: siamo nella zona della fantascienza adulta, la stazione lunare non è che un limbo di solitudine in cui declinare luci ed ombre dell’umano (sentire). Lo spazio, dalla fine degli anni Sessanta, è ormai cassa di risonanza dell’uomo, il suo silenzio, la sua alterità, il suo essere fuori (dalla Terra) e insieme legame col passato (la Terra/Presente) e proiezione verso l’infinito (il futuro e lo spazio interstellare), lo rendono la sonda privilegiata per scavare nel mistero della nostra specie.

    8.5
     
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47 replies since 10/4/2009, 10:58   720 views
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