Argo

di Ben Affleck

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    Argo

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    Argo narra, romanzandoli, fatti realmente accaduti a Teheran in seguito alla rivoluzione iraniana del 1979 e all'assalto dell'Ambasciata americana, da parte degli studenti in rivolta, nel novembre di quell'anno. La pellicola si concentra infatti sul cosiddetto "Canadian Caper", l'operazione segreta congiunta tra Stati Uniti, tramite la CIA, e Canada, per salvare i sei diplomatici fuggiti in tempo dall'ambasciata assediata e rifugiatisi nell'abitazione privata dell'ambasciatore canadese.
    Il coinvolgimento degli Stati Uniti nella missione è rimasto segreto fino al 1997 e l'operazione è stata poi ribattezzata in gergo come "Argo", dal nome del finto film al centro della missione. Lo spunto del film deriva da un articolo sulla missione di Joshuah Bearman, basato sul resoconto dell'agente della CIA che l'ha ideata e portata a termine, Tony Mendez, pubblicato nel 2007 su Wired. George Clooney con Grant Heslow e David Klawans, si interessa all'argomento e decide di avviare il progetto di un film basato su quell'articolo: il copione poi, scritto da Chris Terrio, per mano dello stesso Clooney, coproduttore del film, arriva nelle mani di Ben Affleck che entusiasta decide di realizzare finalmente il film su quella storia, col titolo del film mai nato.

    A fine 1978 ha inizio la rivoluzione popolare iraniana che nel gennaio del 1979 porta alla caduta del regime dispotico dello scià di Persia Reza Pahlevi, costretto a lasciare il paese. Dopo una prima fase in cui il governo fu tenuto da forze moderate, liberali e riformiste, però, le correnti religiose islamiche ebbero il sopravvento. Con il ritorno dell'ayatollah Khomeini, la rivoluzione prese un indirizzo estremista fortemente antioccidentale, specialmente antiamericano, e marcatamente religioso. Questo indirizzo antiamericano, inasprito dal fatto che gli Stati Uniti erano stati sostenitori dello scià, avevano agevolato il colpo di stato che lo aveva portato al potere, lo avevano fatto curare nel proprio paese e gli avevano concesso asilo politico dopo la sua cacciata, culminò con l'occupazione dell'ambasciata statunitense di Teheran nel novembre del 1979. I sei diplomatici in fuga furono rimpatriati il 27 gennaio 1980 dopo giorni di fiato sospeso, mentre la maggior parte degli altri funzionari, tenuti in ostaggio dagli iraniani, furono liberati soltanto nel gennaio 1981 dopo 444 giorni di prigionia e dopo infinite trattative.

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    Il film inizia proprio nel momento in cui l'ambasciata americana di Teheran viene presa d'assalto dagli inferociti studenti “rivoltosi” che non perdonano agli Stati Uniti di aver dato asilo politico e di proteggere il destituito scià di Persia, macchiatosi di crimini contro la popolazione e gli oppositori e reo di aver trascinato l'Iran nel declino economico e morale

    Sei diplomatici dell'ambasciata riescono a fuggire da una porta di servizio prima che i rivoltosi facciano irruzione e riescono a raggiungere in segreto la casa dell'ambasciatore canadese Ken Taylor, unico tra i diplomatici dei vari paesi ad assumersi il rischio di dar loro protezione e rifugio. Intanto nell'ambasciata si distruggono i fascicoli segreti e ogni documento privato, effetto personale o prova di riconoscimento delle persone che lavorano lì, ma non si fa in tempo a eliminare tutte le tracce prima che l'assalto vada in porto e i restanti membri vengano sequestrati.

    Tony Mendez, un esfiltratore della Cia, abile quanto sconosciuto ai piani alti, viene incaricato, in un clima di diffidenza, di elaborare un piano per salvare e rimpatriare i sei fuggitivi, che nel caso venissero scoperti verrebbero condannati a morte certa.

    Nella sfiducia generale, Mendez architetta un piano geniale e fantasioso, che se non fosse una vicenda vera a stento crederemmo: ovvero organizza la finta realizzazione di un film di fantascienza dal titolo Argo, di falsa produzione canadese per non coinvolgere direttamente gli Usa e per non mettere a repentaglio la vita degli altri ostaggi, ma in realtà gestito dalla Cia, da girarsi in Iran e di cui lui sarà il regista.
    Questa copertura permetterà di procurare ai sei diplomatici in pericolo false identità di membri della troupe di nazionalità canadese, grazie alle quali poterli tirar fuori regolarmente dal paese eludendo i rigidissimi controlli.

    Sembra incredibile eppure così è avvenuto.

    Intanto il governo del democratico Carter lavora senza cedere a compromessi, tra polemiche, difficoltà, accuse dall'opposizione e critiche dall'opinione pubblica, per ricomporre la crisi e per far liberare gli ostaggi dell'ambasciata. Le difficoltà dell'azione del suo governo nella gestione di questa crisi internazionale e il fallimento di una prima missione, l'Eagle Claw, causerà poi la sconfitta democratica alle elezioni seguenti spalancando le porte allo spregiudicato Ronald Reagan.

    Naturalmente il regista poi romanza, come è giusto che sia, a fini narrativi e spettacolari gli avvenimenti reali, cercando comunque di restarne fedele nella sostanza e nel resoconto dei fatti.

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    A Ben Affleck piace e si vede il cinema che si faceva in America negli anni '70, al regista piace e si vede il clima della New Hollywood, ama assaporarne e rievocarne l'atmosfera, ne ama lo sguardo, ne ama i toni dolenti, lo spirito critico, la fotografia, la cura dei personaggi e la cura nella definizione degli ambienti (che sia la cameretta di un bimbo con i gadget e i poster di Guerre stellari, che siano gli uffici della Cia o dell'Ambasciata, che siano gli strumenti, gli arredi e il look dei personaggi, con tanto di baffi, pettinature inguardabili e occhialoni dalla montatura nera e vistosa, tutto contribuisce a creare l'effetto immedesimazione e ad immergere lo spettatore nello spirito dell'epoca).

    L'urgenza che Ben Affleck sembra avere, ma senza alzare la voce, è quella di un cinema civile che si rifaccia alla realtà storica, politica e sociale senza rinunciare ad un racconto coinvolgente ed appassionante. Ecco così che il regista riesce a coniugare la riflessione sociopolitica e, in questo caso, anche quella metacinematografica, con una rappresentazione tesa e avvincente, perfetta nella miscellanea di toni e situazioni, che senza darne l'aria, restituisce al cinema la sua funzione di spettacolo intelligente.

    In particolar modo i modelli a cui Ben Affleck guarda in questo film sono quelli di Pollack e di Pakula, ma si sente anche un po' di Clooney e di certo Eastwood degli ultimi anni: sobrietà di stile, copioni solidi dalla costruzione narrativa lineare ma al contempo densa, tematiche di interesse sociopolitico dipanate in una struttura da film di genere, thriller o spystory, definizione accurata degli ambienti, fotografia dalla grana grossa che restituisce il sapore del tempo, montaggio incalzante, atmosfere tese e avvincenti, toni dolentii, personaggi ben caratterizzati sostenuti da interpretazioni eccellenti, regia senza fronzoli che lavora per sottrazione ma regala inquadrature efficaci e suggestive e sequenze da antologia.

    “Ho cercato di lavorare per sottrazione, pochi movimenti di macchina, economia di gesti. L'underacting è una scelta che risponde al mio gusto. Quando vedo attori recitare in maniera esagerata penso sempre che mi vogliano vendere qualcosa, sono tirato fuori dal film. L'empatia che si crea con i personaggi, capace, quella sì, di far accelerare il battito cardiaco, Una buona storia, personaggi solidi e un ottimo cast. Ecco la ricetta. A questo punto al regista non resta che togliersi dai piedi” (Ben Affleck).

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    E come nel cinema di Pakula e Pollack c'era la rappresentazione sociopolitica di quella società, così anche Affleck, lasciando il tutto sullo sfondo del racconto principale (l'esfiltrazione), senza pontificare e ponendo piuttosto interrogativi, attraverso la metafora storica, riflette anche sulle similitudini tra le vicende iraniane dell'epoca e quelle della recente primavera araba (con la speranza che il cambiamento questa volta non sia un'altra illusione), sulle ingerenze e sulle colpe di un'America e di un Occidente nel suo complesso, che per interessi economici e politici, ha sempre chiuso un occhio sulla corruzione e la violazione dei diritti umani nelle dittature mediorientali (e non solo vedi Sudamerica), anzi spesso sostenendole e divenendo compartecipe delle instabilità di quell'angolo nevralgico del mondo: in questo senso quell'ambasciata americana sotto assedio è immagine potentissima.

    Ai giochi di potere, alle manovre politiche e alle autocelebrazioni dei grandi, Ben Affleck, anche con un po' di retorica, oppone così la propria riconoscenza verso i Tony Mendez e verso quegli uomini che hanno messo a repentaglio la propria vita per amore verso il proprio paese, senza averne ricevuto in cambio, per la ragion di Stato, la giusta riconoscenza.

    Il regista innesta nel film anche una riflessione sul cinema, sulla sua essenza di illusione e di macchina da spettacolo che in alcuni casi supera la realtà, e contrappunta la cupezza angosciosa del film, con la comica e beffarda rappresentazione, attraverso gli impagabili personaggi di John Goodman (nelle vesti di John Chambers, grande make up artist realmente esistito, premio oscar per il trucco de Il pianeta delle scimmie) e di Alan Arkin in quelle di un produttore fittizio ma realistico, che, seppur indirettamente, hanno avuto parte importante nel piano di Mendez, di una Hollywood vista come baraccone vuoto guidato da incompetenti, il cui declino è simboleggiato spietatamente dall'inquadratura della celebre scritta sulla collina in stato di sfacelo.

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    Straordinario l'inizio con l'assalto all'ambasciata, frutto di una messa in scena vorticosa e di un montaggio incalzante, che creano un'atmosfera di claustrofobica paura e di cupa ansia che non da tregua e che riecheggia i celebri assedi dei film di Carpenter.
    Geniale tutta la messa in scena dell'elaborazione del piano di esfiltrazione, in cui emergono tutte le manovre politiche nascoste, le luci e le ombre, i giochi di potere e in cui emergono le difficolta della sua messa in opera, le diffidenze e le paure dei sei diplomatici che si dimostrano all'inizio diffidenti nei confronti di Mendez e del suo piano, che accettano più per mancanza di alternative che per reale convinzione. Intensa la presa di coscienza di Mendez che nelle difficoltà prende sempre più a cuore la sorte dei diplomatici. Splendida ed angosciante tutta la passeggiata nel bazar e, infine, di un climax insostenibile è tutta la sequenza dell'aeroporto in cui con montaggio alternato seguiamo le frenetiche manovre a distanza dagli uffici della Cia quando il piano prima bloccato viene riattivato, la meticolosa, incessante e frenetica ricostruzione dei documenti distrutti dell'ambasciata ad opera dei bambini delle scuole coraniche e il lentissmo, tesissimo, interminabile e difficoltoso imbarco di Mendez e dei sei fuggitivi frenati da mille controlli, interrogatori e intoppi di ogni genere.

    Mia prima esperienza con l'Affleck regista e devo dire che è stata felicissima e sorprendente, non in quanto novità assoluta, perché ero a conoscenza dei plausi che ha ricevuto come regista con i film precedenti, ma non sapevo fino a che punto.

    Peccato per il finale che mi pare un po' incerto, che fa traboccare un pizzico di quella retorica dalla quale il regista era riuscito a svincolarsi per tutto il film e che presenta troppi scioglimenti e sottofinali che annacquano la tensione emotiva accumulata.

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    Tornando al contesto storico c'è da dire che la crisi degli ostaggi in Iran diede il colpo di grazia al governo democratico di Jimmy Carter che fu rimproverato di scarso decisionismo e di pavidità, allorché un suo commando per la liberazione degli ostaggi, denominato "Eagle Claw", nell'aprile del 1980 fallì la missione creando sconcerto nell'opinione pubblica americana e spalancando le porte alla spregiudicata avanzata di Ronald Reagan. In realtà la politica di Carter, che in seguito non rivendicò mai il successo dell'operazione segreta "Canadian Caper" che poteva riscattarlo di fronte all'opinione pubblica, fu improntata alla cooperazione internazionale e alla difesa dei diritti umani, nonché ad un più marcato interventismo statale nella politica interna. Solo che queste misure di limitazione del liberismo sfrenato a protezione dei ceti più poveri, aumentarono il debito pubblico e crearono del malcontento, non andando ad intercettare le tendenze dell'epoca. Soprattutto il governo Carter pagò, oltre le difficoltà in una vicenda così delicata, la sua mitezza e la sua politica di disimpegno militare, non in sintonia con un paese che, dopo la sconfitta del Vietnam cercava una rivincita ed aveva trovato nel repubblicano Reagan una risposta alla voglia di riprendere prestigio e forza internazionale, nonché alla necessità di una maggior salvaguardia degli interessi americani nel mondo per contrastare più efficacemente l'espansione sovietica.

    Per quanto riguarda la questione iraniana, superfluo poi aggiungere dell'inganno di quella rivoluzione popolare nata con le migliori intenzioni, che ha sostituito ad un tiranno sanguinario la tirannia degli ayatollah e la dittatura della teocrazia, con progressiva restrizione della libertà individuale fisica e di pensiero, con le punizioni e le condanne a morte dei sostenitori dello scià e degli oppositori, con la relegazione della donna a ruolo subalterno, con la censura e la chiusura quasi totale nei confronti della cultura occidentale, con l'obnubilamento delle menti in nome di un'interpretazione estrema ed oscurantista dell'Islam. Insomma sull'argomento Persepolis della Satrapi (sia in versione graphic novel che cinematografica) dice molto più di tante parole.

    Edited by michibaldi - 5/12/2012, 19:13
     
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    Pellicola che ho mancato al cinema purtroppo, a questo punto la recupero a scatola chiusa dopo la rece di poison, l'8,5 di Ray e la rece gargantuesca di Michi! :wub: :wub:

    Mi fa molto piacere che Affleck si confermi regista di spiccate qualità, sembra non sbagliare un colpo ^_^
     
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    Grande Michi. Revu scatola chiusa, senza passare per il via!
     
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  4. poison78
     
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    Grande analisi Michi^^ Complimenti Revu è un vero peccato che sia rimasto così poco al cinema. Sono sicuro comunque che apprezzerai da morire^^
     
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    Uno die migliori film visti al cinema nel 2012.

    Argo, è la terza pellicola dell'Affleck regista, un Ben che si è confermato degno di tale nome, dopo lo splendido Gone Baby Gone e il convincente (ma meno originale) The Town.
    Argo è una pellicola che riesce a convincere anche i più scettici. Sembra paradossale, ma tutto quello che narrato nel film è successo veramente: Affleck ha il merito di mantenere il film sempre in bilico, sempre in tensione, lasciando lo spettatore col fiato sospeso in più di un occcasione (forse avrei chiuso il film qualche minuto prima).
    E' un film particolare, originale nella sua splendida verità
    L'Affleck regista ora è diventato grande, lo si può dire.

    9=


    Michi recupera... specialmente Gone Baby Gone.
     
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  6. Kurtz
     
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    Affleck alla terza prova si conferma un regista coi controcaxxi. Grande film, grande ritmo. Rivalutazione di Affleck ormai totale, come regista e come attore.

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  7. MrBlù
     
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    consacrazione-Affleck, che-dopo-due-cerchi-quasi-perfetti-supera-le-aspettative-crescendo-non-solo-registicamente
    ma-anche-interpretativamente-a-quanto-vedo!
     
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  8. Fedor Lynch
     
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    recuperato

    secondo me è un buon film, intrattiene a dovere e ben affleck dietro la macchina da presa ci sa indubbiamente fare, mettendo in scena senza sbavature il tutto... tuttavia dato l'incipit del film sinceramente mi aspettavo un'analisi critica più marcata sulle responsabilità del governo americano riguardo la situazione in iran, mentre la cosa viene esposta didascalicamente all'inizio e poi non più affrontata, con la narrazione che invece si occupa della missione "argo" prima nei preparativi e poi nell'attuazione... ne esce quindi una pellicola che funziona in quel che racconta ma che partendo da premesse autocritiche finisce poi per puntare il dito sui "cattivi iraniani" carcerieri dimenticandosi però del loro essere vittime dell'imperialismo statunitense.. insomma film un po' furbo che svacca anche qua e là con un po' di retorica gratuita
     
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    D'accordissimo con la tua analisi Fedor ed infatti, nonostante questo film mi sia piaciuto abbastanza, proprio grazie anche alle lacune che hai appena citato, lo avevo comunque elencato tra le mie delusioni cinematografiche dello scorso anno.
    Le scene finali poi che avrebbero, in teoria, dovuto suscitare ansia ed apprensione le ho invece trovate parecchio banali e, tutto sommato, prevedibili.
     
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    Sono state distribuite oggi 135 copie di ARGO.
    Dopo il successo ottenuto ai recenti Oscar il film di Ben Affleck torna nuovamente nei cinema italiani.
    Un'occasione per chi non era ancora riuscito a vederlo.
     
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    per me cmq l'ultima mezzora di film e' eccezionale eh..prevedibile non tanto perche' non conoscevo i fatti reali..e onestamente mi ha messo tensione,girata PERFETTAMENTE dal punto di vista tecnico.

    filmone cmq,per me 8,5
     
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    CITAZIONE (sion821 @ 1/3/2013, 23:12) 
    CITAZIONE ([pako] @ 27/1/2013, 16:22)
    Le scene finali poi che avrebbero, in teoria, dovuto suscitare ansia ed apprensione le ho invece trovate parecchio banali e, tutto sommato, prevedibili.

    per me cmq l'ultima mezzora di film e' eccezionale eh..prevedibile non tanto perche' non conoscevo i fatti reali..e onestamente mi ha messo tensione

    Nemmeno io ne ero a conoscenza ma ciò nonostante la scena in questione non mi ha minimamente messo alcuna inquietudine, anzi. Mi è parso di riassistere alla visione del finale di

    "Fuga di Mezzanotte"


    Questo si, veramente carico di tensione rispetto a quello usato in Argo.
     
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    Questo film intrattiene a dovere, bella la storia meno il punto di vista di come viene affrontata. A mio parere è scandaloso che abbiamo vinto l'oscar di miglior film... Voto 7
     
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    CITAZIONE (lJigenl @ 28/1/2014, 20:02) 
    Questo film intrattiene a dovere, bella la storia meno il punto di vista di come viene affrontata. A mio parere è scandaloso che abbiamo vinto l'oscar di miglior film... Voto 7

    Si il film intrattiene a dovere, il punto di vista è perfetto, perchè tratta un argomento specifico.
    Sul discorso Oscar non so che dirti, però dal mio piccolo lo ritengo il titolo più bello tra quelli che erano in concorso senza dubbio.
     
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