Carnage

di Roman Polanski

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  1. Kurtz
     
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    carnage_2

    Trarre un film da una piece teatrale è rischioso: si può essere finire nel teatro filmato, ma nelle mani di un grande regista si ottenie un distillato perfetto della crudeltà umana. Carnage è capolavoro di claustrofobia borghese che non rinuncia allo sberleffo (auto)ironico, alla precisa volontà di prendere in giro lo spettatore (un certo tipo di spettatore almeno) spostando di continuo – all’inizio del film – i suoi personaggi, dall’interno dell’appartamento al pianerottolo, in un gioco di perverso stillicidio, come volesse sottolineare e ostentare il meccanismo anziché celarlo.

    La concentrazione degli spazi, l’unità di luogo, l’ammassare i quattro personaggi in un’unica stanza è proprio la base del film. Se le due coppie fossero uscite anche solo per un attimo, prendendo una boccata d’aria, l’intero castello non sarebbe esploso, perché è proprio la coercizione coabitativa di un nucleo di persone diverse che scatena il massacro rompendo il paravento dell’incontro civile. Come in una strategia di gioco i piani si intersecano continuamente, le coppie dallo schematismo frontale originario continuano a ruotare e variare le loro posizioni (e lo spazio combacia con l’opinione), creando e disgregando alleanze e discordanze (prima coppia contro coppia, poi i mariti contro le mogli e così via).

    Si brucia sull’altare dello scontro dialettico l’intero pantheon degli ideali borghesi, dall’amore per i figli a quello coniugale, a suon di risate amare e liberatorie. I minuti del film si accaniscono con sempre maggior furore contro le buone intenzioni delle famiglie alto-borghesi, scheggiando via, pezzo a pezzo, la patina di (falsa) civiltà fino a vomitare fuori (letteralmente) gli istinti più violenti. Sull’onda di dialoghi perfetti le discussioni smembrano pezzo a pezzo i totem dell’eleganza sociale fino a lasciare solo lo scheletro della barbarie istintiva; e il coraggio del film sta nel lasciare tutto in sospeso, nel sollevare una bufera di problemi senza cercarvi soluzione, ma anzi applicandovi una coda beffarda (unica sequenza, come per l’incipit, ambientata fuori).

    Cast di stelle e senza nulla togliere alle donne i miei preferiti restano l’accomodante buonista di John C. Reilly in un ruolo agli antipodi dai suoi soliti e il “solito”, gigantesco, cinico Cristoph Waltz cui basta alzare un dito per esprimersi da grand’attore.

    8+

    CITAZIONE (Guido75 @ 20/9/2011, 15:43) 
    Questi 1-2 sotto spoiler non sono simpatici a chi non ha visto il film... :P

    Se non avessi visto il fatto non sapresti che l'incidente è avvenuto per una "normale" lite tra ragazzi e non per
    un isolato gesto violento di uno di loro, che poteva far pensare ad un ragazzo particolarmente esagitato e non ad un gesto
    di "normale" interazione, come ne capitano molti tra giovani nonostante le conseguenze, fortuite, quì un pò più gravi.
    La chiusura finale non è necessaria, ma è divertente perchè smonta, visivamente, quanto di parlato, urlato e ridicolo
    mostrato nell'ora precedente. Non è necessaria ma neanche inutile, rafforza ironicamente il messaggio.

    concordo con Guido
    l'apertura e la chiusura sono fondamentali! senza il film perderebbe parte del suo senso.
    non solo per ciò che scriveva Guido, ma quelle due sequenze mostrate - e dunque non veicolate dalle parole dei genitori - sono oggettive (o pretendono di esserlo, sicuramente molto più delle parole). Senza quelle immagini avremmo finito col dubitare delle stesse parole dei genitori, non avremmo saputo/assistito al vero fatto.
    E in particolare il finale in coda serve proprio a sberleffo: mentre i genitori - gli adulti - si scannano annegando nelle loro frustrazioni, i figli hanno già trovato una soluzione pacifica. Il vero problema, la vera violenza sta nella cultura e nell'insoddisfazione degli adulti, non nei ragazzini che hanno espresso un semplice, naturale, evolutivo gesto di scontro
     
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51 replies since 1/9/2011, 15:44   1150 views
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