Solo Dio Perdona

di Nicolas Winding Refn

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  1. poison78
     
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    Sono in parte con Ray

    Atteso da tutti gli appassionati di cinema, l’ultima fatica del talentuoso regista danese Nicolas Winding Refn è stato accolto con molto scetticismo dalla critica durate la sua proiezione al recente festival di Cannes, la stessa critica e festival che poco più di due anni fa ne aveva giustamente decretato l’ascesa con l’ottimo Drive. Torna l’utilizzo della violenza fatta di attimi, di istinti bruttali e improvvisi delineati sempre dal marcato utilizzo del ritmo compassato, con personaggi lontani dalla realtà quotidiana. Torna anche il sodalizio con Ryan Gosling, collaborazione artistica che ad entrambi ha donato il successo.

    Dico subito che al sottoscritto il film non ha convinto completamente. Non una delusione ma sicuramente tanto rammarico nei confronti di un’opera che poteva essere e invece non è. Refn ha dichiarato che l’idea originaria della pellicola vede alla base un uomo che vuole confrontarsi con Dio. Nella mente del regista quest’uomo è Julian (Rayan Gosling) un giovane gangster americano trapianto a Bangkok che dopo la morte del fratello maggiore si troverà suo malgrado al cospetto di Chang (Vithaya Pansringarm) un ex-polizzioto in pensione richiamato in servizio, che opera imponendo una idea di giustizia punitiva del contrappasso ed è venerato dalla sua gente come una divinità.

    Questo il contesto nelle intenzioni della trama, che è per lunghi tratti deficitaria, minimale dove periste il tema dell’essenzialità e della fede. Un essenzialità al quale anche la sceneggiatura è strettamente legata visto che la maggior parte di queste informazioni non vengono in nessun modo spiegate e il tutto è solo amalgamato con una potenza visiva come sempre magistrale ma che personalmente reputo poco efficace.

    Perché se è vero che una volta lette le dichiarazioni e compreso il significato del film tutto diventa più chiaro, durante la visione si fa realmente fatica a mettere insieme i pezzi. Praticamente l’intero contesto narrativo è basato sull’assenza e in primo luogo colpiscono in modo negativo tutte le parti visionarie e spirituali di lynchiana memoria e chiaramente ispirate da un Alejandro Jodorowsky al quale è dedicata la pellicola. Intendiamoci sono bellissime, di una magnificenza e potenza visiva notevole ma che concettualmente senza una chiave di lettura sono assolutamente difficili da assimilare e capire e sicuramente troppo lunghe.

    Tutto risulta frammentato, i tormenti del giovane Julian vengono solo assorbiti e non capiti così come la figura di Chang sembra il classico poliziotto/sceriffo intransigente e non tutto quello che ci dicono voglia rappresentare. Visto come esperimento artistico è sicuramente un lavoro riuscito ma fortunatamente per noi e sfortunatamente per Refn il cinema non può essere etichettato e visto solo come un solo esercizio di stile, il pubblico ha bisogno di enfatizzare e relazionarsi con una pellicola, di sposare la causa di un personaggio che, sempre ritornando all’assenza, sono ridotti all’osso.

    Confondere la fantasia erotica o violenta con la realtà finisce solo per destabilizzare il grado di attenzione. Il pensiero profondo della pellicola rimane ancorato dal peso dell’essenzialità che diventa come un macigno pesantissimo da sopportare per buona parte della visione. Potenzialmente incantevole ogni fotogramma viene servito con chiaro splendore, la location asiatica si presta ottimamente al contesto della trama così come il commento sonoro è ancora una volta infallibile. Purtroppo però non tutti saranno in possesso del “manuale alla visione” durante la proiezione e la pellicola rischierà molto probabilmente di risultare pretenziosa e inconcludente. Da Refn ci aspettiamo di più, non basta una madre stronza all’inverosimile e una tecnica sopraffina per convincerci. Da vedere con riserva.

    6/6,5 voto al film

    livello visivo da 9

    Edited by poison78 - 1/6/2013, 09:23
     
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47 replies since 28/3/2012, 14:04   1807 views
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