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Ivs.
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Al di là dei meriti (molti) e demeriti (pochi), nessun regista - tolto Sorrentino e pochi altri - sembra ormai avere più il coraggio di bypassare le solite commediole familiste e bonarie tanto in voga al botteghino, per raccontare vizi (molti) e virtù (ormai poche) di un Sistema Paese sempre più allo sfacelo. In questo viaggio catartico ci guida Jep Gambardella (uno straordinario Servillo), ricco cinico annoiato (l'ordine degli aggettivi non è casuale), che si aggira sperduto e (apparentemente) impassibile lungo una Roma bella e spettrale, in cerca di qualcosa (l'ispirazione per un nuovo libro? Il ricordo della donna amata? Sé stesso?) o qualcuno che dia senso al suo "horror vacui". Intorno a lui solo figurine bidimensionali, di carta, avvezze al "chiacchiericcio" e con le quali ci si può solamente perdere "nel vortice della mondanità". "La grande bellezza" è un film importante: perché scava nelle piaghe di una società assuefatta a stupidi rituali e ad un mediocre immobilismo, dove il "non pensare" funge da palliativo per chi del denaro e dell'eccesso fa una propria ragione di vita. Perdendo di vista così l'unica cosa vera, autentica: la "grande bellezza".
Voto: 8.