Dallas Buyers Club

di Jean-Marc Vallée

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  1. Revu
     
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    Ci sono film che prima della loro uscita ti suscitano emozioni e fibrillazioni, vibrazioni e spasmodica voglia e attesa di andarli a vedere, perché sei quasi certo che ti piaceranno, li pensi e ripensi prima ancora che debbano uscire e quando finalmente entri in sala, ti accomodi a sedere e si spengono le luci, entri in completa simbiosi con ciò che viene proiettato sullo schermo e le emozioni ti assalgono, ti affogano e ne esci colmo e soddisfatto negli occhi, nella mente e nel cuore. Questo è ciò che mi è accaduto con Dallas Buyers Club, pellicola del canadese Jean-Marc Vallée, tratta da una storia vera che parla della tragica malattia a metà anni '80 di Ron Woodroof, elettricista che vive alla giornata, tra rodei, alcol, droga e sesso sfrenato, un vero bifolco cocciuto e fiero di essere maschio virile e potente. Ma dopo che casualmente gli viene diagnosticato il virus dell'HIV, la vita di Ron cambia irrimediabilmente: dagli amici, alle abitudini, al modo e alla prospettiva di vedere le cose e approcciarsi ad esse, fino alla collaborazione e alla interazione con le altre persone. Il film analizza bene il contesto storico americano in cui si colloca; un periodo in cui i malati di Aids erano visti come persone talmente da escludere che anche una stretta di mano era negata.

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    Inutile dire che l'intera opera è sorretta da un Matthew McConaughey in stato di grazia, dimagrito di oltre 20 chili, scavato in volto e nell'anima, scheletrico e morente nei panni di un uomo "morto" nel corpo ma ancora vivo nell'anima, un autentico "morto che cammina" che ti conquista con il passare dei minuti, con il suo sguardo pieno di dolore, odio, rabbia, paura, disprezzo ma anche speranza, voglia di non arrendersi e di viveve più di prima. Gli fa da spalla un irriconoscibile Jared Leto, tornato al cinema setti anni dopo (l'ultimo suo film fù Mr. Nobody, inedito da noi che consiglio), nel ruolo di un transessuale sieropositivo dolce e commovente. Sarebbe sbagliato etichettare il film come veicolo solo per le prove attoriali dei protagonisti, perché c'è molto di più: c'è una denuncia potente alle istituzioni e alle case farmaceutiche, c'è una parabola umana che vive una malattia al tempo solo agli albori, c'è una lotta feroce contro le bigotte consuetudini e un'intima presa di posizione su argomenti delicati trattati senza pietismo o ruffianeria. Un colpo per chi vede che frastorna e commuove, che tiene incollati allo schermo 20 anni dopo il celebrato Philadelphia, un cinema che torna a parlare di malattia e morte, perché tutti dovrebbero essere a conoscenza di quello che fece Ron Woodroof per l'America e la lotta contro l'HIV. Per me non ci sono storie: assegnerei ora e subito senza appello l'Oscar come miglior protagonista a McConaughey e quello di attore non protagonista a Leto.

    Voto: 8,5/9

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    Edited by Revu - 6/2/2014, 14:00
     
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19 replies since 4/1/2014, 13:24   410 views
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