## DVD & Blu-Ray Forum - Cinema & Home Video ##

Posts written by macina

  1. .
    Non scopro certo io in questo momento il valore e l'importanza storica i due personaggi come il regista Ridley Scott e l'attore Michael Douglas, punti di riferimento cardine della storia del cinema, i cui sforzi si sono incrociati in questa pellicola dal notevole flavour anni '80, "Black rain". Pur collocandosi alla fine della decade, infatti, il film beneficia dello stile di quegli anni, a partire dalle immagini, andando poi al tipo di recitazione piuttosto enfatica dei protagonisti, Douglas in testa, autore di una prova eccezionale. Trovo questo performer incredibilmente talentuoso, in ogni suo film si fa apprezzare per incisività ed impatto, ghigno sardonico, cinismo a gò-gò e presenza scenica. Avete presente quegli attori che bucano letteralmente il video? Beh, secondo me Douglas è uno di quelli!!!

    Comunque, Nick (Douglas) e Charlie (Garcia) sono due sbirri che, dopo aver arrestato un boss della mafia nipponica (Yusaku Matsuda) vengono incaricati di condurlo in terra giapponese; arrivati a Tokio con l'aereo, si presentano le forze di polizia locali a prenderlo, Nick e Charlie lo consegnano, ma scopriranno ben presto di avere preso una cantonata, in quanto quei tutori dell'ordine altro non erano che delinquenti sotto mentite spoglie. Dopo una serie di ricerche condotte con la vera polizia del posto, vengono a sapere che a Tokio è in corso una sanguinosa e grossa lotta per il potere della malavita, che vededa un lato il boss che avevano condotto lì loro e dall'altro un boss più anziano (Ken Takakura). Andando contro agli ordini imposti loro dagli sbirri giapponesi, insieme a Mashiro (Shigeru Koyama), un poliziotto di Osaka, iniziano ad investigare su queste lotte, entrando pericolosamente nel cuore della yakuza, la mafia giapponese.

    La vis artistica di Micheal Douglas in "Black rain" raggiunge scintillanti livelli, il suo personaggio è rappresentato in modo verace e pulsante; Nick è spietato, crede nei valori umani, ma è come un falco che si avventa sulla preda; sceglie il proprio obbiettivo e lo persegue fino alla fine, sguardo assassino, zero patemi d'animo ad insultare ed a trattare male la gente. Insomma, un bastardo in possesso di un'etica.
    Anche Andy Garcia (che l'anno dopo girerà il "Padrino 3") sa il fatto suo in questo film; il suo ruolo è meno arrembante di quello di Douglas, Charlie è un poliziotto giovane, ama la bella vita, take it easy, non preoccuoiamoci, le cose si sistemeranno. I due colleghi formano una bella coppia di lavoro e, anche se non sembrerebbe, si vogliono molto bene.
    La vicenda si snoda per due ore senza mai annoiare, ma rimane avvincente e gode dei colpi da maestro di Douglas; fantastiche alcune incazzature, in cui l'attore sposato con la Zeta-Jones esplode in tutto il suo pathos. Troppo bello quando sull'aereo il prigioniero lo irride e lui, guadandosi attorno e fingendo di stiracchiarsi, dando una tirata alla sigaretta, lo colpisce in pieno viso...!! Ho rivisto questa scena 10 volte di fila!!!
    La tecnica registica unica ed incalzante di Scott contribuisce a nobilitare ulteriormente un film davvero interessante, che è anche ambientato nei bassifondi di un Giappone corrotto e malfamato
  2. .
    Numerosi elementi facevano intuire che con “The machinist” il pubblico si sarebbe trovato di fronte a qualcosa di malato e poco orientato al mainstream; il trailer inquietante, la regia di Brad Anderson (“Session 9”), la sceneggiatura di Scott Kosar (“The Texas chainsaw massacre 2003”), la direzione della fotografia di Xavi Gimenez (“Nameless”, “Darkness”). Ed infatti il risultato di questa sinergia si configura in una pellicola ostica, visionaria e destabilizzante, che intravede i suoi prodromi in autori del calibro di Lynch, Polansky e Cronemberg, con una preponderante influenza di quest’ultimo, a mio modo di vedere. In realtà, è opportuno tributare merito ad Anderson nel non aver riproposto pedissequamente tali imputs, confezionando un film che, oraganizzato in maniera poco sapiente, sarebbe facilmente sfuggito di mano.
    Trevor Reznik (Christian Bale – “American psycho”, “Il mandolino del Capitano Corelli”) non riesce a dormire da un anno, il suo corpo rinsecchito e la sua psiche sono martoriati dall’insonnia e da tutta una serie di visioni e di strani messaggi che appaiono in casa. La situazione si acuisce ulteriormente quando al lavoro Trevor provoca un danno irreparabile ad un collega, Miller (Micheal Ironside – “Down”), che si vede tranciare da una macchina parte del braccio. Da quel momento, i colleghi cominciano ad evitarlo e le allucinazioni lo inglobano sempre più, anche perché viene in contatto con un inquietante personaggio, Ivan (John Sharian – “Calendar girls”) che nessuno sembra vedere e conoscere. Nemmeno la positiva frequentazione di una prostituta con velleità di emancipazione, Stevie (Jennifer Jason Leigh – “Existenz”, “In the cut”), lo aiutano ad uscire dal buco nero in cui si è cacciato e gli stessi effetti sembrano sortire dal legame con una cameriera di nome Marie (Aitana Sánchez-Gijón – “Volavérunt”, “Io non ho paura”). Profondendo uno sforzo pazzesco, Trevor riuscirà a ricomporre i frammenti della sua folle vita; realtà o primo stadio della patologia?
    “The machinist” ti mette a dura prova, erode pian piano le tue certezze sulla sanità mentale, sovverte la tua tranquillità…perciò pare efficace, centrato e sadicamente avviluppante; la lentezza degli eventi è funzionale allo scopo e proporzionale alla lente deriva delle facoltà mentali di Trevor, ottimamente interpretato da Bale. Le ambientazioni metropolitane e poco accoglienti, nonché una fotografia asettica, grigio-verdognola, quasi chirurgica fanno il resto, estremizzando le conseguenze rovinose patite da un uomo logorato dal senso di colpa, il cui peso si personifica in apparizioni oniriche ed apparentemente inspiegabili. Il mondo immaginifico dello spettatore arranca in parallelo alla scoperta da parte del protagonista della verità, in un pachidermico crescendo di allucinate consapevolezze.
    Usciti dalla sala, hai bisogno di sentirti dire da qualcuno che è tutto ok.

  3. .
    Ben Stiller negli ultimi anni ha prestato i suoi servigi a produzioni decisamente comiche, improntate ad un ridere sguaiato, volgare, grottesco, ai limiti del demenziale; d'altronde, il fisique du role non gli fa certo difetto: faccione un po' da sfigato, movenze goffe, una buona plasticità. Sembra che il non ancora trentenne regista Rawson Marshall Thurber abbia bussato alle porte di diverse major per vedersi produrre il suo "Dodgeball", sentendosi rispondere sempre picche, prima di imbattersi proprio in Stiller, che ha messo la pelliocola sotta l'ala protettiva della sua casa di produzione. In effetti, il suo peso si vede anche nelle vesti di performer, dato che "Dodgeball" si poggia molto sulla sua dinamicità espressiva, quelle buone capacità, insomma, che l'hanno proiettato all'attenzione del grande pubblico internazionale.

    Stiller interpreta la parte di White Goodman, eccentrico e pazzoide gestore di un rinomato fitness center, che si interessa ad una palestra più piccola condotta da Peter la Fleur (Vince Vaughn - "Psycho", "Zoolander"); quest'ultimo naviga in cattive acque, è oppresso dai debiti e Goodman gli manda un'avvenente avvocatessa, Kate Veatch (Christine Taylor - "Zoolander"), per rilevare l'impresa. La fleur ha poco tempo per tirar su 50000 dollari per salvare la baracca e, insieme all'aiuto di un manipolo di sgangherati amici, parteciperà ad un torneo nazionale di dodge ball, per vincerne il premio finale. Così, la banda si riunisce sotto le direttive di un folle allenatore, Patches e si fa dare una grande mano anche da Kate, passata dall'altra parte della barricata; riuscirà il loro impegno a salvare la palestra?

    La storia portata avanti da "Dodgeball" non è senz'altro delle più interessanti e, pur sforzandosi di valutare il film per quello che è, non riesce ad appassionarti più di tanto; qua e là affiorano momenti esilaranti e battute di spirito belle volgari e divertenti, ma nel complesso si ha l'impressione di assistere a ben poca cosa. In mano ai fratelli Cohen, incredibili caratterizzatori di personaggi, i componenti della squadra di dodgeball sarebbero stati ancora più approfonditi nei loro connotati, ma qui le loro caratteristiche non colpiscono in modo particolare; anche il loro capo, l'attore Vince Vaughn, non brilla per presenza scenica, la sua intepretazione denota un semplice buon mestierante, mulla più...Gli occhi dello spettatore vengono invece catalizzata dalla verve di Ben Stiller, per la prima volta nelle vesti del cattivo ed ancora una volta istrionico e casinista; il suo è il vero personaggio del film e bisogna ammettere che questi ruoli gli escono con una naturalezza notevolissima.
    Il regista riesce a collocare le sequenze di "Dodgeball" in maniera tutto sommato coerente, dando al tutto un discreto ed apprezzabile ritmo; nonostante ciò, all'uscita dalla sala non ti rimane molto, anche perchè la pellicola non sa bene dove vuole collocarsi, non è una classica commedia demenziale tipo "La pallottola spuntata" e non ambisce ad essere annoverata in film comici un pochino più ricercati.

    Edited by hellboy1 - 4/10/2011, 19:17
  4. .
    Che Terry Zwigoff fosse un personaggio poco incline ad un cinema di facile presa si evinceva già da non banale "Ghost world", film da lui diretto nel 2000. Sovvertire però la figura paciosa e tenera di Babbo Natale è un colpaccio che non mi aspettavo e, con il sapiente e graffiante zampino dei fratelli Cohen, il nostro riesce nell'impresa di delineare brillantemente un antiarchetipo dell'eroe buono per antonomasia. Sì, perchè in "Babbo Bastardo" il simpatico ometto di rosso vestito si tramuta in un ladro opportunista, alcolizzato, dedito al turpiloquio più becero ed amante dei servigi sessuali delle donne in carne. Willie (Billy Bob Thornton - tra le innumerevoli pellicole in cui ha fatto da guest ricordo "L'uomo che non c'era"), infatti, ogni anno lavora come Babbo Natale nei centri commerciali, ma tale ruolo è una copertura; il suo intento è svaligiare di dollari sonanti le casse degli stessi, avvalendosi della collaborazione di Marcus (Tony Cox - "Il silenzio dei prosciutti", "Io, me e Irene"), un nano che si traveste da folletto durante il lavoro. Il piano è ben collaudato: Marcus si nasconde prima di Natale nell'ipermercato e poi apre la porta a Willie, che scassina le casseforti. Per il resto, Willie tratta malissimo i bambini che gli vengono a chiedere i doni, apostrofandoli con epiteti offensivi ed allontanadoli sbrigativamente, fino a che si imbatte in un paffuto ragazzino (Brett Kelly), schernito da tutti e dotato di qualcosa in più degli altri marmocchi. Ma i sospetti cominciano a ricadere sulla sua discutibile condotta professionale ed il capo della sicurezza, Gin (Bernie Mac - "Bus", "Ocean's eleven") gli si mette alle calcagna. Willie così decide di rifugiarsi presso l'abitazione del ragazzino che è orfano e vive con una nonna anziana ed incapace di capire. Alla fine si scopre se Willie porta a termine il colpo oppure entra nelle maglie della giustizia.

    Il film fa ridere, non c'è dubbio, ma non ridiamo di una serie di situazioni esilaranti e di una storia che si dipana comicamente; il catalizzatore di queste risate è il personaggio principale, vero mattatore della pellicola, intepretato da un Billy Bob Thornton sempre eccellente. Il suo Babbo Natale è un autentico anti-eroe: barba lunga, aspetto mal curato, mancanza i rispetto per tutti, faccia perennemente sfatta, occhi penduli, favella legnosa ed impastata. Un ritratto eccezionale, che per certi versi mi ha fatto venire alla mente il folle meccanico sempre da lui giocato in "U-turn" di Oliver Stone. Gli insulti che indirizza ai bimbi sono crudeli, il suo modo di rapportarsi agli altri risulta sgradevole e grezzo, beve come una spugna; il bello è che non nutre rispeto nemmeno per sè stesso, consapevole di condurre un'esistenza senza senso in cui copulare con le ciccione e sbronzarsi sembrano l'unico metodo per tamponare un velatamente insoddisfatto nichilismo.
    Il film dunque si poggia su una comicità dozzinale, chiara, urlata ed a tratti dotata di un gusto pessimo, come nelle frecciatine alla condizione dei disabili o alla descrizione delle difficoltà di un'obesa a defecare dopo possenti sodomie. Un mood, insomma, inadatto a tutti, ma dotato veramente di una verve che ti conquista e ti ribalta per quanto è sconvolgente e pecoreccia!
    Interessante anche il fatto che Willie, pur colpito dal bambino, non si redime dalla sua condota dissoluta, anche se appaiono gustosi e sottilmente indovinati i parallelismi fra i due; due individui che dalla vita hanno ricevuto spesso calci nel sedere e che piano piano cercano ognuno a modo loro un riscatto. Finissimo poi come Zwigoff fotografa l'attegiamento del bambino, apparentemente galvanizzato di avere in casa il "vero" Babbo Natale, ma lucidissimo nel dirgli "Non volevo un regalo da te perchè sei Babbo Natale, ma perchè sei mio amico"...
    La notizia poi confermata da più parti per cui Billy Bob si sia davvero ubriacato sul set non fa che nobilitare ancor di più la sua persona e l'intero film, piccolo gioiellino di rutilante trivialità.
    "Babbo bastardo": un bello schiaffo all'ennesimo panetton-movie vanziniano che dimostra come la comicità gratuita, se calibrata e dotata di senso, funziona e colpisce nel segno
  5. .
    Certo che passare da ottimi esempi di cinema come "L'insostenibile leggerezza dell'essere" e "Quills", da parte del director Philip Kaufman, a questo "La tela dell'assassino"....un gambero gli farebbe un baffo...
    D'altronde, già il titolo del film doveva suonare come campanello d'allarme; onestamente, in questi ultimi anni quante volte abbiamo sentito parlare di "ragno", "morsa", "tela" in fatto di movies? E per di più, quante produzioni straviste annoveravano nelle proprie fila un killer seriale, un investigatore, un mistero più o meno affascinante? Al di là di ogni fuga da posizioni pregiudiziali, dunque, la pellicola in questione puzzava di déja-vu, sensazione edulcorata e superabile forse da un cast di buon livello che, nella peggiore delle ipotesim avrebbe salvato il naufragio,,invece, poco da fare, "La tela dell'assassino" si candida per essere uno dei film più scialbi dell'anno che sta terminando, sorretto com'è da una vicenda assai poco appetibile (al di là della carenza di originalità), da dialoghi che non ti restano in testa, da attori talentuosi che fanno il loro dovere di mestieranti senza stupire e da un finale che definire banale sarebbe ancora poco.

    Jessica Shepard (Ashley Judd - "Il collezionista", "High crimes") è una poliziotta di San Francisco che viene elevata di grado per merito del suo mentore e "protettore" John Mills (Samuel L.Jackson - "Pulp fiction", "Il negoziatore", "Man of fire"), amico di suo padre che morì suicida anni addietro. Al nuovo comando di polizia trova un ambiente ostile, passa per la sapientona e soprattutto è dedita alla bottiglia e a tutta una serie di problemi insuperati derivanti dalla sua passata esistenza che condivide (senza risolverli) con il Dr.Frank ( David Strathairn - "L.A. Confidential"). Inoltre, gli omicidi che si ritrova a dover studiare la riguardano da vicino, si tratta di vittime uccise da un killer seriale con cui lei ha avuto rapporti sessuali. Il suo collega Mike Delmarco (Andy Garcia - "Gli intoccabili", "The unsaid", "Ocean's eleven") pare sostenerla e stimolarla, anche se ad un certo punto le circostanze sono tali che anche lui non si può esimere dal considerarla eventuale colpevole dei delitti.

    "La tela dell'assassino", a mio parere, è un film non solo che non decolla mai ma che non sa nemmeno bene dove andare; la storia non appassiona, i continui svenimenti della Judd annoiano a morte, lo spettatore non è neanche incuriosito da chi potrebbe essersi macchiato degli omocidi, in un finale che vorrebbe chiarirsi piano piano (come nello stile del genere) ma che finisce per essere inconcludente ed inefficace. Insomma, manca anche il classico e incalzante climax che solitamente caratterizza i serial thrilling, qui annacquato da uno svolgimento generale dei fatti piatto ed incolore.
    La cosa migliore è forse la recitazione della Judd, ormai avvezza a questi ruoli; al contrario, il suo personaggio non affascina, tanto che la sua alcool addiction pare un po' forzata e decontestualizzata da tutto il resto...Come già detto, poi, questo non è il film migliore per presentare Jackson e Garcia al pieno delle loro potenzialità (in ambo i casi enormi), qui professionali ma mai sopra le righe.
    Inoltre, assistiamo in maniera sistematica agli stilemi già visti 100 volte nel filone cui la pellicola appartiene, vedi la scena in cui la Judd perde le chiavi della macchina sotto la stessa ed un pericolo incombe dall'alto, oppure l'ostracismo cui lei si trova oggetto in ufficio, traformatosi poi in stima per le intuizioni sulla serialità dell'omicida.
    Avevo sentito parlare di questo movie come di thriller-giallo a tinte noir; beh, io l'unico elemento noir l'ho ravvisato nella fotografia, decisamente e monocromaticamente scura, il che non depone certo della funzionalità generale già di per sè non eccelsa.
    Films di tale stile dovrebbero decisamente "ringiovanirsi", mi pare che abbiamo assistito negli ultimi anni ad una saturazione del mercato in tal senso; la via d'uscita potrebbe essere la cinica ironia di fronte alle situazioni aberranti oppure almeno qualche motto di spirito che si lasci ricordare! Siccome qui non vi è traccia minima di tutto ciò, ecco un ulteriore motivo, almeno dal mio punto di vista, per bocciare del tutto "La tela dell'assassino".

    Edited by hellboy1 - 15/9/2011, 17:03
  6. .
    Ciao, io sono macina ed ho messo in piedi da poco un forum dedicato al mondo del cinema; se ti va di farti un giro e magari partecipare alle discussioni, ecco il link:

    http://www.filmmanianet.tk/

    Ecco la presentazione del forum:

    “Un saluto a tutti.
    Molti anni fa un buon film mi pareva un modo simpatico per trascorrere un paio d'ore piacevolmente. Con il tempo, ho capito che il cinema, al di là della pur importante componente "edonista", rappresenta per il sottoscritto qualcosa di molto più grande; qualcosa i cui confini sono poco definiti, qualcosa in cui far sfociare la propria immagianzione ed i propri sogni, qualcosa di magico. In fondo cos'è un film se non una rappresentazione speculare di te stesso? Ciò che accade ad un personaggio, o ciò che esso prova ti può essere capitato, ti ci puoi rivedere negli occhi sognanti di un attore, una particolare inquadratura del regista può cogliere l'esatto punto da cui avresti voluto vedere la scena. Il cinema è arte sublime soprattutto quando riesce a muovere idee, punti di vista, emozioni sempre diverse, la soggettività degli spettatori, insomma.
    Ciò che mi piacerebbe fare in questo forum, grazie all'imprescindibile aiuto di chi gentilmente vi parteciperà, è proprio accogliere e valorizzare le soggettività, sicuro del fatto che il dialogo non farà altro che alimentare la passione per lo splendido universo del cinema, forse ancora dei pochi in cui è possibile...sognare.
    Non mi ritengo certo un esperto, un tecnico o un critico cinematografico; il mio approccio, come in molti altri ambiti della vita, è decisamente più viscerale, istintuale. Mi ritengo più sedotto dal feeling che dalla tecnica e, pur non disdegnando ragguagli ed informazioni in tal senso, mi piacerebbe molto che la community di filmmania si riconoscesse nel concetto da passione.
    Ringrazio fin da ora coloro che si avventureranno tra le pagine di questo forum.
    A presto.

    Macina.”

    Ciao
21621 replies since 17/11/2004
.