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To the Wonder è una pellicola decisamente suggestiva incastonata nello stile del percorso espressivo intrapreso da Malick fin da La Sottile Linea Rossa. Si presenta come una sorta di stream of consciusness per immagini, in cui gli attori sono svuotati di ogni pretesa recitativa (Alfleck è quasi sempre inquadrato di spalle, o con il viso tagliato) per diventare segno e grafia - nella loro ciclica e asfissiante ridondanza - delle dissertazioni teologico-filosofiche di un Malick in voice over.
La deriva del cinema di Malick è abbastanza evidente ormai, così come è altrettanto evidente che questo modo di raccontare svuoti completamente gli attori di una pur minima parte produttiva. L'immagine ha qui una forza ed una capacità seduttiva così vigorosa da sovrastare il costante monologo in sottofondo, che suona allora più come una ridondanza ossessiva del pensiero - orpello didascalico - che non come parte strutturale dell'opera stessa (che gioca invece sui quadri visivi e metaforici delle maree, delle città-labirinto, dei campi-sentimento e delle mandrie-amozioni sempre più rarefatti nella luce del sole).
Per fare un paragone che a molti sembrerà blasfemo, Makoto Shinkai fa un tipo di cinema molto simile a quello di Malick, per l'equilibrio espressivo e per la scelta di rinunciare quasi completamente al dialogo tra i personaggi in favore di una forma di racconto più intrapersonale. Tuttavia, laddove Malick sfocia negli "universali", rischiando la pedanteria e la spersonalizzazione dei ruoli, Shinkai rimane molto più ancorato alla biografia emotiva delle persone e - grazie a questo - arriva a noi più autentico, sincero, perfino più realisticamente corrotto. L'ultimo Malick è invece asettico e talmente patinato da sembrare un articolo di Vogue strozzato tra pagine di modelli plasticosi che ammiccano dal loro formato A4.
mikz
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60 replies since 31/5/2012, 11:28 1591 views
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