Angel - La vita, il romanzo

François Ozon

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  1. Kurtz
     
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    Ozon torna a sognare e riportare sulla scena il cinema classico (americano), degli anni 30/40, seguendo sul filo l'operazione di 8 femmes, cui Angel si lega anche visivamente nel finale, con la magione circondata dalla neve. E ritorna a narrare di donne, con un piglio non proprio lusinghiero: l'eroina eponima è infatti una scrittrice di romanzi d'amore che infiammano i lettori, vendono tantissimo rendendola ricca (e permettendole di acquistare la casa dei suoi sogni, da povera), eppure Angel è un'eroina assai discutibile. Ci vuole del coraggio, va ammesso, per raccontare per due ore la storia di una donna così infantile, di "un'artista" così abbagliata dal proprio ego da ritenere la (Grande) guerra niente più che un'interferenza alla sua felicità matrimoniale quando il marito-pittore decide di arruolarsi, un personaggio dunque che pare rinverdire la crudelissima misoginia che Ozon aveva già sfoderato nell'altro suo film "in costume".
    Tuttavia, la venefica misognia del film precedente qui viene un po' mitigata da un più deciso tono da melò che specie nel finale si risolve nel modo classico, segnando la parabola discendente dell'artista e della donna. Ed è proprio nelle ultime battute che Angel, per la prima volta, ci risulta umana, vera, non nascosta dietro il suo mondo di finzione, scrigno di vetro in cui si è rinchiusa scrivendo storie romantiche del tutto sganciate dalla realtà dei fatti, un finale che guarda al Bergman di Sussurri e grida con la sua barocca esplosione melodrammatica, al limite dell'eccesso, punto di incontro tra lo stile del regista e quello della sua protagonista-scrittrice, che è anche l'unico modo (e forse l'unica volta) in cui l'autore può condividere i sentimenti di Angel.
    Preferisco altri lavori di Ozon, anche se non posso negare l'indubbio effetto "ricattatorio" del suo finale drammatico. Tuttavia, nel resto del film si respira un'aria un po' freddina, un po' voluta e inevitabile certo, considerando Angel come emula di Scarlett O'Hara (anch'ella legata strenuamente a una casa, simbolo concreto della sua esistenza), ma che risulta troppo spesso davvero irritante e rischia di allontanare del tutto lo spettatore da quell'empatia che è necessaria alla riuscita del melò di perdere, recuperandolo poi in extremis con la sua chiosa.

    7+/7.5
     
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  2. marsellus wallace
     
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    ovviamente distribuito da cani ...
     
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1 replies since 22/10/2007, 02:27   71 views
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