L'uomo che ama

di Maria Sole Tognazzi

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  1. marsellus wallace
     
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    luca, nell'index mancano le uscite del 24 ottobre, l'ho cercato nell'index generale ma non c'era. se fosse accorpa e scusa

    L'uomo che ama



    L'uomo che ama
    Un film di Maria Sole Tognazzi. Con Pierfrancesco Favino, Xenia Rappoport, Monica Bellucci, Piera Degli Esposti, Marisa Paredes, Fausto Maria Sciarappa, Arnaldo Ninchi, Michele Alhaique, Glen Blackhall. Genere Commedia, colore 102 minuti. - Produzione Italia 2008. - Distribuzione Medusa



    Trama: Torino. Roberto è un farmacista con grosse difficoltà nel dormire. Ha un fratello gay, dei genitori amorevoli che vivono ritirati in campagna, ma sopratutto in due zone diverse del tempo storie intense d'amore con Sara, che lavora come vicedirettrice in un albergo, e Alba, un'artista che gestisce una galleria. Dopo aver subito una terribile delusione con Sara che lo ha lasciato per un uomo milanese sposato e con due figli, Roberto torna indietro nel tempo e ripensa alla storia d'amore con Alba, una vicenda che è lo specchio contrario di quanto appena accaduto. Il flusso degli eventi è doloroso e sfiancante, tanto più che l'insonnia di Roberto gli impedisce praticamente di vivere e lavorare normalmente. Quando poi il fratello si ammala, la situazione peggiora ulteriormente ...




    Commento: Maria Sole Tognazzi, figlia del grande Ugo (a differenza dei fratelli attori ha da subito scelto di stare dietro la cinepresa e non davanti), dirige questo dramma Torinese, con tanta voglia di raccontare emozioni, una vicenda di amori controversi che vede protagonista un Pierfrancesco Favino (inquadrato anche in caste nudità per la gioia del pubblico femminile) alle prese con due donne completamente diverse come la rossa Xenia Rappoport (davvero brava con Tornatore ne La sconosciuta) che fa Sara, e Alba, interpretata nel solito modo evanescente, suo tipico, da Monica Bellucci (che quando appare ci spiattella subito i suoi unici meriti, cioè i floridi seni). Favino è Roberto, un farmacista che nel mese di settembre vive un intenso rapporto con Sara, di cui si innamora perdutamente. Purtroppo quando tutto sembra vivere un apice di felicità di coppia, ecco che Sara decide di tornare, senza nessuna possibilità di ripensarci, a Milano da Pietro, un suo ex, con moglie e figli, che aveva apparentemente lasciato per l'insostenibilità del rapporto. Roberto cade nello sconforto più totale, tenta disperatamente di convincerla a tornare da lui, ma tutto è vano. Dopo un violento alterco con il fratello Carlo (Michele Alhaique), che vive un intenso e felice rapporto gay con Yuri (Glen Blackhall), l'azione ritorna nei ricordi a marzo, quando Roberto era insieme ad Alba, una gallerista d'arte. La vicenda passata mostra i motivi degli eventi settembrini (la cicatrice di Carlo, l'insonnia e altre cose) ma sopratutto come Roberto che ora soffre terribilmente non sia stato un tempo vittima ma carnefice.
    La regista ha scelto un argomento davvero intenso da trattare, l'amore dal punto di vista maschile visto da due lati diversi pur con protagonista lo stesso uomo, ci pone varie interrogativi con il suo film (le cose accadono all'improvviso, molte volte senza ragione e beffardamente quando sembra che tutto vada perfettamente, come del resto il fatto che il passato non ben codificato come lezione non sia insegnamento per il futuro) peccato che lo faccia con uno stile noioso, pesante, che molte volte cade nel patetico (la lettera di Carlo consegnata all'ospedale, i continui buonismi dei genitori dei due ragazzi) rendendo a tratti il tutto verbosamente insopportabile, con tanta voglia di alzarci ed andarcene, sopratutto quando il tema musicale di Carmen Consoli (chi è venuto per sentire la sua voce si astenga, di suo c'è solo una canzone sui tittoli di coda) invece di emozionare l'evento lo rende ancora di più un momento di intensa ricerca di un antidepressivo.
    Prima vediamo in una Torino buia e fosca i lampi e i tuoni felici d'amore (la scena iniziale è un rapporto), con tutti i piccoli scherzi degli innamorati stile Peynet, poi ci si perde nel rapporto di conflittualità dovuto ad un cellulare che mostra eventi truffaldini, per continuare con la macerazione dell'animo di lui, allo sbando e completamente perso, evidenziata da una caffettiera che esplode sul fuoco perchè messa a bollire priva di acqua.
    La Tognazzi utilizza la preparazione del caffè per gli stati d'animo di Roberto, placidamente pronto quando tutto è sereno, nervosamente coinsumato quando la tempesta emozionale lo prende, ed, appunto, esplode quando la vicenda ha una fine senza soluzione del problema.
    Non c'è che dire, i segni per iconizzare sono anche volonterosi, segnaliamo una camminata contromano prima di tornare al passato oppure la carrellata della camera che focalizza man mano un Favino che legge la lettera strappalacrime "tristezza inside" del fratello Carlo, ma questa ricerca dell'inquadratura "clou" e del linguaggio per sublimazione (come lo stato della cucina progressivamente abbandonato) è affossata da una mancanza di ritmo a dir poco totale, tutto è dilatato in verbose scene paurosamente banali, dove la possibilità di poter dire partendo da uno spunto interessante diventa occasione persa. Da notare come viene trattato anche l'argomento gay:tutto è soffuso, facile, nobile. D'accordo che siamo nel 2008 e più nessuno doverosamente e giustamente si stupisce o scandalizza, ma non c'è il minimo piglio nell'approfondire il momento della scoperta dei genitori dando qualche variazione ("ah figliolo sei gay? cosa c'è per cena?") e anche qui si banalizza tremendamente, con baci ed abbracci che servono solo a far dire che la vita da etero a volte è davvero un ingestibile casino (invece sappiamo che ogni rapporto di qualunque tipo non è libero da problemi).
    Non c'è errore peggiore di una regista che impantana la vicenda per concentrarsi su simbolismi che a se vogliono dire davvero poco, se non sorretti da collante di una storia intensa e originale va a finire che sono come dei relitti dispersi nel mare.
    Forse qualche signora in vena di romanticismo fine a se stesso potrebbe apprezzare un film di questo tipo, non grezzo nella tecnica ma dispersivo nel raccontarsi, ma bisogna essere o delle fan all'ultimo stadio di Favino (inquadrato rigorosamente in ogni dove e in ogni modo, con barba incolta annessa, nel finale del film si parla anche di questo fatto) oppure di esigenze davvero miti, accontentandosi senza pretese dello spunto disinteressandosi dello svolgimento (segnalando che la chiusura della vicenda con Alba ha un accellerazione davvero fuori sincrono con il tono del film).
    Ci sono delle buone caratterizzazioni ad evitarne il naufragio totale, come quella della Paredes (la dottoressa Campo dai saggi consigli ed occulti altarini) e di Fausto Maria Sciarappa (il padre buono), gli altri sono lì solo per riempire lo schermo senza graffiare, Favino incluso, mai intenso e dalla recitazione poco credibile.
    In definitiva un film che vuole volonterosamente raccontare il lato maschile dell'amore dai due volti diversi (vittima e carnefice), dallo spunto interessante e qualche iconografia di pregio, ma realizzato in maniera dispersiva, monotona, pesante, per la troppa ricerca di particolari che banalizzano invece di valorizzare la vicenda, annoiando brutalmente e facendoci prendere dalla depressione e non dall'emozione. Oltretutto molti passaggi sono patetici e del tutto inconsistenti. Insieme alla solita Bellucci solo corpo (scarsamente denudato oltretutto, Favino ha più nude look di lei) anche la scarsità attoriale depreda la voglia di consigliarlo, confermando che, purtroppo, i registi uomini sanno fare grandi ritratti di donne ma non il contrario. Non che la Tognazzi nel suo piccolo fosse indicata per invertire la tendenza, ma almeno potesse dare un segno.




    Edited by hellboy1 - 15/9/2011, 17:17
     
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0 replies since 25/10/2008, 05:36   683 views
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