The Grandmaster

di Wong Kar-Wai

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  1. poison78
     
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    Per me mezza delusione

    Inutile girarci intorno, diciamolo subito, ci si aspettava molto di più da un autore come Wong Kar-wai. Ambientato in un lasso temporale che si estende dagli anni 30 fino agli anni 60 la pellicola racconta la vita di IP Man, maestro del leggendario Bruce Lee. Attraverso la sua esistenza viene narrata gran parte della storia cinese moderna rappresentata, in senso metaforico, come un treno in corsa che attraversa una stazione senza fermarsi.

    Per chi ha apprezzato le precedenti trasposizioni cinematografiche dedicate al grande maestro da Wilson Yip, è bene dire che questo film non c'entra assolutamente nulla. Aiutato in fase di sceneggiatura da Zou Jingzhi e Xu Haofeng, Kar-wai sceglie di reinterpretare quanto visto in precedenza da un punto di vista totalmente diverso e altamente più filosofico. Tornano in auge i temi classici dell’autore cinese come l’impossibilità come lo scorrere del tempo e i sogni infranti di una vita trascorsa senza appagarli. Il film non focalizza l’attenzione sul famoso maestro, interpretato da un Tony Leung che ricorda uno dei tanti personaggi partoriti dalla mente di Stephen Chow in “Kung Fu Hustle”, ma indirizza tutti i suoi orizzonti sul personaggio di Gong Er (Zhang Ziyi), unica erede della micidiale tecnica dei 64 palmi.

    Dall’ingresso in scena del personaggio di Gong Er, la narrazione si sottomette ad un evidente delirio di filosofia e simbolismo tanto caro al cinema orientale sebbene poco incline all’esportazione. Afflitto da un montaggio disordinato e pretenzioso, il clima della pellicola viene appesantito da passaggi storici senza un vero legame narrativo per la velocità e voracità con la quale vengono dati in pasto allo spettatore. E’ chiaro che in chiave di montaggio qualcosa è andato storto e le circa 4 ore di girato trasformate in sole 2 non hanno sortito il risultato sperato. Mostrando un film più didascalico del previsto e poco fluido.

    Tecnicamente parlando l’opera è di una bellezza senza pari con una cura degli spazi ed una attenzione ai particolari magnifica. Ottime le coreografie dei combattimenti con primi piani sulle mani e sui piedi che rivelano l’inerzia dei colpi scagliati. Strepitosa la fotografia di Philippe Le Sourd. Da segnalare la collaborazione musicale del nostro Stefano Lentini che nel tema finale omaggia il nostro cinema attraverso il tema di "C’era una volta in America". Una poesia sul lato tecnico artistico senza riserve.

    A distanza di diciannove anni dalla sua prima immersione nel cinema cappa e spada con il bellissimo “Ashes of Time” (1994), Wong torna al cinema delle arti marziali con un kung fu movie che non accontenta nessuno. Resteranno scontenti gli spettatori che amano vedere menare le mani e soffriranno i fan devoti al suo cinema più intimo. I più coriacei apprezzeranno la notevole intensità emotiva e temi più profondi come la meditazione,l'emotività, la vendetta, l'onore e un amore mai consumato.

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10 replies since 14/11/2012, 11:19   603 views
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