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Room (2016) Regia di Lenny Abrahamson
Room inizia dandoci il buongiorno, così come Jack appena sveglio saluta tutto ciò che lo accompagna durante le sue giornate. Basta questo, o anche solo il titolo del film, per mettere in evidenza che ogni oggetto che fa parte di questa realtà è un individuo a se stante, con una propria storia da raccontare e un ruolo ben più importante dell'essere semplice strumento da utilizzare quando necessario Jack è con la madre in una stanza, la sua casa ed universo, e come è solito avvenire durante l'educazione di un bambino le sue conoscenze e percezioni sono totalmente frutto delle storie che si raccontano per soddisfare le sue enormi curiosità da piccolo uomo e a cui si vuole ancora troppo bene per potergli palesare la realtà. Così siamo anche noi con Jack e la madre, nella stanza, e un passo alla volta iniziamo a comprendere cosa accade, perché siamo lì, e se vogliamo rimanerci. In questo è fondamentale dire che tutto ciò è rappresentato in maniera perfetta, mentre ci affezioniamo a questo ambiente si delinea una gestione dello spazio e del racconto fantastica, sebbene le immagini scorrano via lentamente si crea una tensione crescente, grazie all'introduzione continua di piccoli dettagli che offrono costantemente qualcosa da scoprire. Abrahamson riesce perfettamente a creare l'incanto e in men che non si dica comprendiamo quanto sia umanamente degradante la condizione in cui si trovano i personaggi, nonostante la visione dal punto di vista del bambino non possa che donare al tutto un'aria di familiarità. Consci di quanto sarebbe egoista desiderare che il film collassi su se stesso tra le mura della stanza si rimane in attesa della grande fuga, frutto di una morte apparente ma da un luogo che è reale proprio perché così ci appare. Probabilmente il film passa al secondo atto con quella che è la scena più intensa, un momento che mi ha ricordato tanto il finale di 127 Hours di Danny Boyle, in cui sulle note di Festival dei Sigur Rós, il personaggio di Franco correva libero dalla sua prigionia verso la fine della storia. Qui la costruzione è la stessa, le note sono quelle di The Mighty Rio Grande dei This Will Destroy You, e si assiste al primo sguardo di Jack al mondo di fuori, non quello posticcio della televisione raccontato dalla madre, ma quello vero e che è il motivo stesso per cui egli è nato e vissuto fino a quel momento. Ancora però non è tutto, anzi non è niente dato che adesso ricomincia tutto da capo e se dentro la stanza a noi sconosciuta riuscivamo a sentirci a nostro agio, come Jack, fuori, in quella che è l'idea comune della vita giornaliera ci si sente spaesati e indifesi, come Jack. In quella che potremmo definire la seconda parte i personaggi sono sommersi di informazioni, si hanno litigi a cui non seguirà mai una riappacificazione, domande su domande si accumulano ma non si ottengono risposte e il ritmo diventa quello monotono ma frenetico di chi ha talmente tanto da non farne nulla. Ma in fondo tutto ciò non interessa, perché abbiamo ancora 5 anni e i nostri istinti sociali ci permettono di adattarci bene a prescindere dall'ambiente, purché le persone che ci circondano siano quelle adatte. È più violento essere costretti a conoscere esclusivamente una realtà accettata come alterata dall'unanime senso comune oppure essere trascinati via dal proprio naturale focolare sebbene non se ne senta alcuna necessità? Room pone questo interrogativo in maniera stilisticamente eccelsa, compiendo anche scelte che inizialmente lasciano indifferenti ma che risultano solo essere coraggiose una volta metabolizzate. Appena uscito dalla sala non sono riuscito a conciliare bene i due momenti che caratterizzano questo lavoro, ancora adesso dopo una settimana non sono sicuro di riuscirci, però ho la convinzione che le scelte fatte risultino essere più ponderate e articolate di quanto possa sembrare al primo impatto.
Edited by Revu - 14/3/2016, 13:50
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